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Il carattere delle piante

“Vegetale a chi?” E’ probabilmente la prima cosa che le piante chiederebbero, se potessero parlare, afferma il professor Stefano Mancuso.

E, in effetti, la nostra conoscenza del mondo “verde” è, per lo più, piuttosto incompleta e parziale. Mentre infatti concordiamo sul fatto che i vegetali sono essere viventi dal momento che si nutrono, crescono, si riproducono, tendiamo invece ad ignorare che soffrono, possono entrare in competizione fra loro e anche aiutarsi reciprocamente, che stabiliscono legami di amicizia e sono perfino capaci di sacrificarsi per i loro piccoli. 

L’esame di questi comportamenti offre una prospettiva più ampia dell’interpretazione ambientale, permettendoci di comprendere meglio affinità e somiglianze per il  mondo vegetale e il nostro modo di sentire e di agire.

Già Platone, d’altra parte, affermava che l’uomo non è altro che un albero rovesciato, le cui radici non sono conficcate nel terreno ma rivolte al cielo da dove deriva l’intelligenza. Più modernamente, Cosimo Piovesco Di Rondo, (il “barone rampante” di Calvino) nel suo progetto di costituzione affiancava ai diritti dei uomini e dei animali anche quelli delle piante di alto fusto, ortaggi ed erbe, (non ci meraviglieremo, nel leggere che nessuno lo prese in considerazione e che il progetto restò “lettera morta”).

Una delle affinità più sorprendenti fra piante ed animali riguarda il loro comportamento predatorio.

Anche tralasciando il caso particolare delle piante carnivore, passiamo infatti tranquillamente affermare che tutte le piante verdi passano l’esistenza ad inseguire una preda tanto più sfuggente ed esclusiva quanto più le condizioni ambientali sono difficili: la luce solare.

Gli “strumenti” vegetali specializzati per la predazione sono rappresentati, negli alberi, dalle forme delle chiome e della disposizione delle foglie, che sono capaci di oscillare sul picciolo in modo aprire, di volta in volta, la superficie ottimale per intercettare la luce. Anche la variazione nell’inclinazione del fusto (più accentuata nelle conifere rispetto alle latifoglie) e l’'aspetto complessivo dell’ombra proiettata sul terreno favoriscono indicazioni importanti nell’efficienza della cattura della luce solare.

Un'altra preda molto ambita dalle piante è l’acqua. Il compito di procurarla è affidata soprattutto alle radici, ma anche la forma complessiva di un albero e la disposizione dei rami hanno la loro importanza.

I faggi, ad esempio, per non perdere neanche una goccia di pioggia, puntano sempre i loro rami verso l’alto; alcuni abeti rossi (come il peccio) lasciano, invece, pendere i rami più piccoli per sottrarre alle nebbie ogni goccia di umidità, gli ippocastani, infine, presentano rami incurvati verso l’alto, che fanno pensare ad un bel paio di baffoni ottocenteschi “a manubrio”.

La robustezza del tronco, e dei rami forniscono anche informazioni di tipo sociale, le regole interpretativa è questa: più spesso è il tronco, più elevato è lo “status” dell’albero, vale a dire, in concreto, la sua possibilità di sopravvivere e di prevale sulle piante più deboli, per quanto riguarda la competizione per la luce e per l’acqua.

Attenzione, però! Gli alberi dei “piani alti”, socialmente in posizione privilegiata, sono anche i più esposti ai danni delle intemperie e, in generale, ai problemi climatici.

Un altro aspetto socialmente importante è la solidarietà che si stabilisce, di solito, fra gli alberi più antichi e robusti e quelli più giovani.

La cosa è meno facile di quella specie di “asilo allargato” rappresentato dal bosco coltivato dove tutti gli alberi sono “innaturalmente” coetanei. Manca, infatti, in questo caso, la possibilità di un sostegno da parte degli esemplari più anziani, un po’ come si verifica in un campo di grano dove, in condizioni ottimali, ogni spiga sostiene l’altra, mentre tutte si afflosciano contemporaneamente sotto la sferza di un temporale. 

Anche nei boschi coltivati, però, si possono creare delle amicizie. Lo constatiamo vedendo  piante vicine che protendono l’una verso l’altra, i rami più giovani e teneri, mantenendo, invece, verso l’esterno  quelli più robusti, quindi, più capaci di cavarsela. Nel complesso, l’insieme darà quasi idea di un unico superorganismo.

Nel quadro generale che sembra accumunare gli alberi agli essere umani (e non è detto che sia un complimento!) rientra anche una lotta per il potere, imperniata, ancora una volta, nella gestione della luce solare. 

Non va dimenticato, infatti, che sia per il filo d’erbe che per il carnivoro, il primo premio in palio nella lotta per l’esistenza è sempre l’energia.

Querce e faggi ne offrono l’esempio interessante, la quercia, infatti che, è una specie fotofila (amante delle luce) e “generosa”, perché fa arrivare al suolo una buona percentuale dei raggi solari, sufficiente ad esempio e permette la crescita di molte piante di soecie diverse come si può osservare nel Parco Nazionale del Circeo.

Il faggio, invece, è sciafilo (amante dell’ombra) e la sua chioma non lascia filtrare più del 30% di luce, una percentuale del tutto insufficiente per far crescere un’altra pianta, ad esempio un acero (si capisce bene quindi, perché il pastore virgiliano Titiro, sceglie di riposare proprio all’ombra di un faggio!).

In conclusione se si lascia fare la natura, non ci sarebbe il regime democratico di un bosco misto, ma, ad esempio, solo la dittatura delle faggete!

Ci sono alberi ancora più egoisti del faggio, come il noce, che secerne addirittura sostanze tossiche per le altre piante, non soltanto attraverso le radici ma anche attraverso le foglie e, perfino, i gusci delle noci. Alla sua ombra, non crescerà neanche l’erba!

Rimane da considerare un’altra aspetto, ritenuto tradizionalmente tipico degli animali: la capacità di comunicare. 

Il decantato “silenzio della natura” affermano infatti gli studiosi del settore, è invece animato dalle conversazioni delle piante che “chiacchierano” fra di loro su argomenti di comune interesse, come ad esempio, l’attacco di un insetto fitofago o di un vorace erbivoro. Peccato, però, che non conoscendo ne la lunghezza d’onda ne codici dei messaggi, per lo più chimici, non siamo in grado di interpretarne la maggior parte! 

Ci viene il sospetto che gli antichi greci, in possesso di un metodo di interpretazione ambientale “ente litteram” ci abbiamo ancora una volta surclassato, quando “traducevano” in vaticini il fruscio delle foglie della sacra quercia di Dodone!

A conclusione delle nostre considerazioni resta ancora ad affrontare il quesito più intrigante: le piante sono dotate di intelligenza? I dati raccolti dai neurobiologi vegetali sembrano rientrati verso una risposta affermativa. Nel citoplasma delle cellule vegetali, ad esempio, sono state trovate molecole proteiche molto simili ai prioni, che, negli animali sono legati alla stabilizzazione dei ricordi. E, in effetti, le piante devono essere capaci di ricordare, fra l’altro che il momento della fioritura deve essere preceduto da un periodo di freddo piuttosto lungo, ed ignorare quindi un episodio di freddo troppo breve. Un parere conclusivo può essere quello del prof. Mancuso: le piante forse non sono intelligenti ma sono, certamente consapevoli.

Quando abbracciamo un albero, sfiorandone il tronco e le foglie, e magari torniamo a fargli visita, considerandolo quasi un amico (pensiamo all’ulivo saraceno di Montalbano) l’albero non si ricorderà di noi come singoli individui, ma si ricorderà comunque di essere stato toccato.    


Silvana Nesi Sirgiovanni Istituto Pangea onlus 

Silvana Nesi Sirgiovanni - 5/12/2020

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