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Non solo colore - per le piante l‘autunno è tempo di scelte

In molti spettacoli naturali la nota dominante è il colore.

Accade anche per il foliage dei boschi a latifoglie dove, in autunno, la consueta gamma di verdi delle chiome degli alberi, è sostituita da calde sfumature rosso-dorate, tanto preziose quanto effimere. 

L’innegabile godimento estetico, che attira nei boschi e nei parchi un numero sempre crescente di visitatori, non esclude, peraltro, la curiosità sui tempi e sui modi di questa affascinante trasformazione cromatica. 

Perché al verde tenero delle foglioline primaverili e a quello più intenso e brillante dell’estate, si sostituisce, in molte foglie autunnali, il bruno, il giallo e perfino il rosso cupo e il violetto?

Quali sono i processi chimici alla base del cambiamento di colore del fogliame, e perché procedono di poco la sua caduta?

E, infine, esiste un “interruttore biologico” che dà un avvio pressoché simultaneo alla caduta delle foglie, oppure gli alberi di una stessa specie, generalmente sincronizzati fra loro, possono anche fare scelte individuali un po’ diverse?

La risposta a questi interrogativi offre all’interpretazione ambientalista spunti preziosi che arricchiscono l’esperienza dell’ immersione nei colori e nelle bellezze di un bosco autunnale. Una migliore comprensione dei fenomeni chimici e degli adattamenti biologici e la valutazione della capacità di “scelta” degli alberi fornisce, inoltre, all’interpretazione ambientale, l’opportunità di definire meglio quella consapevolezza che i neurobiologi vegetali attribuiscono concordamente alle piante, e che ce le fa sentire sempre più affini al nostro modo di essere. 

Il primo passo importante verso il cambiamento di colore autunnale delle foglie consiste nell’interruzione del rifornimento di acqua proveniente dalle radici, attraverso la formazione di un piccolo “callo” alla base del loro picciolo, ben visibile, ad esempio nelle foglie del platano. 

Come conseguenza del mancato rifornimento di un importante materia prima, il processo fotosintetico rallenta, nelle foglie, fino a fermarsi. 

I cloroplasti (gli organuli cellulari che contengono le clorofille) iniziano così a decomporsi, lasciando affiorare, in molte foglie, (ad esempio quelle del castagno) il giallo delle xantofille e dei carotenoidi, che prima erano mascherati dal colore prevalentemente verde-azzurro delle clorofille. L’imbrunimento caratteristico delle foglie delle querce e dei faggi dipende, invece, da un fenomeno post-mortem dovuto a processi enzimatici simili a quelli che si verificano, ad esempio, in una mela tagliata a metà ed esposta all’aria. 

Particolare il caso di alcune conifere, come la tuia, le cui foglie aghiformi assumono, all’inizio dell’autunno, un colore giallo-bruno, per poi rinverdire nella primavera successiva, senza, però, cadere al suolo durante l’inverno. Si tratta, quindi, di processi reversibili, che d’inverno si verificano in un senso e, in primavera, nel senso opposto.

Le chiazze di colore rosso-brillante che macchiano, spesso il giallo  il bruno delle foglie autunnali, dipendono, invece, dalla presenza degli antociani, che si fermano nelle belle giornate chiare e luminose (come le giustamente famose “ottobrate” romane!), se la circolazione degli zuccheri nella pianta viene bloccata da un’improvvisa ondata di freddo.

Ecco perché, nei paesi nordici, l’autunno sfoggia sempre la sua vivace parata di colori, e perché, in alcune annate la tranquilla bellezza dei nostri autunni si arricchisce di sfumature particolarmente vivide e brillanti.

Considerate nel suo complesso, la caduta autunnale delle foglie si configura soprattutto come un grande processo di riciclaggio finalizzato al recupero delle sostanze ancora utilizzabili, che si attua, peraltro, in maniera diversa da specie a specie.

Querce e faggi, da buoni “risparmiatori” si sbarazzano, infatti, della loro chioma quando le foglie sono ormai diventate tutte marroni, segnalando, in questo modo, che non ci sono più sostanze utili da recuperare.

L’ontano, invece, è un “pasticcione”, che si libera di foglie ancora verdi e, quindi, ricche della preziosa clorofilla; se lo può permettere, però, dal momento che ospita sulle sue radici dei batteri simbionti, che gli forniscono azoto in continuazione.

Anche i ciliegi e i sorbi selvatici “chiudono bottega” precocemente, quando gli altri alberi intorno hanno la chioma ancora verde.

Non sanno “leggere” il calendario? No, semplicemente i loro tessuti sono precocemente carichi di sostanze di riserva per l’inverno e, quindi, non è più né necessario né utile mantenere le foglie in attività.

Anche molti rami muoiono; quando non c’è più luce a sufficienza ma, a differenza di quanto succede nelle foglie, non esiste un tessuto di separazione fra rami e tronco e, quindi, per allontanare i rami morti, sono necessari altri meccanismi, come il vento, che funziona come… una scopa gigante.

All’interno del grande processo collettivo di preparazione a riposo invernale, spiccano, a sorpresa, alcune “scelte” individuali, che rivelano un certo grado di discrezionalità.

La scelta del momento giusto per lasciar andare le foglie dipende, infatti, anche dalle capacità di un albero di assumersi un rischio. 

L’albero un po’… pauroso, temendo di essere abbattuto dalle tempeste invernali, si sbarazza rapidamente del suo fogliame, anche se la sua scelta comporta una maggiore scarsezza di scorte per l’inverno, dovuta anche all’incompleto riciclaggio delle sostanze ancora utilizzabili.

Ogni bella giornata di sole autunnale, infatti, poi, è buona per fare il pieno di zucchero, ma, d’altra parte, basta un episodio di gelo improvviso per bloccare le foglie sui rami per tutto l’inverno.

In primavera, la situazione si presenta invertita. Se l’albero più impaziente, pronto a ricoprirsi di nuove foglioline, ci “azzecca”, sarà avvantaggiato rispetto agli altri, ma se, invece, sbaglia le sue previsioni, alla prima gelata dovrà ricominciare daccapo, con un grande dispendio di energie.

Il punto centrale è, comunque, questo: alberi delle stessa specie, pur essendo vicini fra loro e, quindi, con condizioni ambientali praticamente identiche, possono agire autonomamente e fare scelte diverse.

E non è, forse, la migliore testimonianza, se non di un’intelligenza “verde”, almeno di una notevole consapevolezza di circostanze di situazioni da parte delle piante?

Silvana Nesi Sirgiovanni Istituto Pangea onlus 

Silvana Nesi Sirgiovanni - 5/12/2020

Utente

Bellissimo e interessantissimo articolo!

Utente

Tutto molto chiaro. Interessanti i concetti di discrezionalità e di "coraggio" di alcune piante.